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Quando un paese qualunque: la Francia, l'Inghilterra, la Germania, la Norvegia, la Russia, la Spagna, l'America e perfino la Svizzera, dopo aver portato per una diecina d'anni in palma di mano un pittore, uno scultore o un incisore purchessia, e dopo averlo sbirciato, palpato, sorvegliato, pesato, strizzato, rigirato da tutte le parli, spogliato e annusato, s'accorge che altro non è, in fondo, che un incurabile imbecille o un cadavere puzzolente, allora non sapendo più cosa farsene lo piglia per le gambe, gli fa fare tre o quattro giri e l'arrandella in Italia.
Il caso curioso vuole che la carcassa vada quasi sempre a piombare a Venezia, e qui certamente si sprofonderebbe nelle acque verdi-cupe della rinomata laguna e non se ne saprebbe più nulla se il pietoso Fradeletto non la ricevesse fra le sue braccia e, mostrandola a tutto il mondo come un dono del cielo, non affermasse a muso duro che questo è l'ultimo tozzo del pane croccante degli angeli, la suprema mela del giardino di Dio.
La parola di un tale uomo non è dubbia per l'Italia, e l'Italia becca e ingolla ogni cosa: risponde al «nobile appello», si commuove, applaude, sogna e sciogliendo la smunta, smunta saccoccia fa l'ultimo, eroico sacrifizio e compra qualche opera del redivivo. È' così che Gaston La Touche, La Gandara, Whistler, Brangwin, Angelo Jank, Maliavine, Repine, Zorn, Sorolla, Zuloaga, Sargent, Odler son parsi persone fra noi, e han coperto di loro ombre sbandite le innocenti pagine delle gazzette.
Il più recente di questi bolidi, arrivato con l'ultimo treno in ritardo, è Herman Anglada y Camarasa. Parigi cui l'aveva offerto la Spagna, ce lo vomita addosso.
Coraggio, amici! Un altr'anno potremo forse contemplare la faccia radiosa del divino Caro-Delvaille — Lo sento!
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